Piano Occupazionale 2022: un altro passo verso le privatizzazioni
Il Piano occupazionale per il 2022 – sottoscritto giovedì 9 giugno da Amministrazione comunale, CGIL, CISL, UIL, CSA e maggioranza della RSU – conferma e rafforza la tendenza alla progressiva drastica riduzione del numero dei dipendenti del Comune di Milano, dai circa 15.500 del 2015 ai circa 13.500 di oggi.
Questo piano “disoccupazionale” prevede infatti solo 659 assunzioni, un numero che non solo è lontano dalle reali esigenze dei servizi, ma non è nemmeno sufficiente a coprire i pensionamenti e le dimissioni del 2021.
Le assunzioni previste sono così suddivise: 210 vigili, circa 100 educatrici di nidi e materne (che sembrano tante ma non sono sufficienti a garantire la riapertura a settembre di tutte le sezioni, se non ricorrendo a “classi pollaio” di 25 bambini) e il resto suddiviso tra le altre Direzioni, con una prevalenza di figure amministrative e contabili di categoria D e C.
Si conferma così l’impostazione di questa Giunta che—al pari di quelle che l’hanno preceduta negli ultimi 30 anni – persegue un preciso modello organizzativo: fare del Comune di Milano un ente che “appalta e controlla”, mentre i servizi vengono materialmente erogati da soggetti esterni.
È una scelta politica miope, che ha prodotto e continua a produrre un peggioramento dei servizi forniti ai cittadini e un netto deterioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti comunali. Senza peraltro nessun vantaggio per il bilancio: semplicemente diminuiscono le spese per il personale e aumentano quelle per l’acquisto di beni e servizi.
Tocca a noi, lavoratrici e lavoratori del Comune di Milano prendere coscienza di questa deriva “privatizzatrice” e organizzarci per contrastarla, cercando alleati tra i cittadini e i movimenti che lottano per fare di Milano una città meno “gentrificata” e più inclusiva e solidale.
Dipendenti pubblici in calo in tutta Italia
Questi i dati forniti al Forum PA del giugno 2021. La P.A. italiana al 1° gennaio 2021 contava 3,2 milioni di dipendenti, 31 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,97%), il minimo storico degli ultimi 20 anni.
Nel triennio successivo al 2021, almeno 300 mila persone usciranno dal pubblico impiego (ma probabilmente saranno molte di più, se si considera che oltre 500 mila dipendenti hanno già oltre 62 anni e 183 mila hanno raggiunto oltre 38 anni di anzianità di servizio).
Dopo una discesa durata oltre 10 anni, il numero dei dipendenti pubblici era risalito dello 0,5% nel 2019. Ma il numero è tornato a scendere del -0,97% nel 2020, fissandosi a 3.212.450, circa 31 mila persone in meno rispetto all’anno precedente. Prefetti, Ministeri, Agenzie Fiscali, Enti Pubblici non economici e Città Metropolitane hanno perso tra il 5% e il 7% del personale, i Comuni più del 2%. L’unico comparto con una crescita significativa dell’occupazione a tempo indeterminato è la Sanità.
Dal confronto europeo, i lavoratori pubblici italiani in rapporto al totale non sono numerosi. Oggi in Italia opera nel settore pubblico il 13,4% dei lavoratori, meno che in Francia (che ha 5,6 milioni di dipendenti pubblici, il 19,6% del totale dei lavoratori), nel Regno Unito (5,2 milioni, il 16%,) o in Spagna (3,2 milioni, il 15,9%) ma più della Germania (4,8 milioni, il 10,8% del totale). Nel confronto con questi paesi è più basso anche il rapporto tra numero dei dipendenti pubblici e residenti: in Italia sono il 5,6%, in Francia l’8,4%, in Inghilterra il 7,8% e nella Spagna il 6,8%.
La PA italiana si conferma vecchia (in media 50 anni di età), scarsamente aggiornata (mediamente 1,2 giorni di formazione per dipendente l’anno). Gli over 60 rappresentano il 16,3%, gli under 30 appena il 4,2%. È “pensionabile”, perché ha già compiuto 62 anni, il 16,3% del totale, oltre 500 mila persone, ma ce ne sono anche 180 mila che hanno maturato 38 anni di anzianità. Solo con l’anzianità contributiva, da Regioni e autonomie locali potrebbe andare in pensione il 10,9% dei dipendenti, dalle amministrazioni ministeriali il 15,2%. Nella Sanità potrebbero uscire circa 105 mila persone nei prossimi 3-4 anni, di 215 mila persone dalla scuola. Anzi alcuni studi stimano entro il 2026 il pensionamento di oltre 1 milione di lavoratori.
Un quadro inquietante, che può aprire lo spazio per la privatizzazione di numerosi servizi pubblici, con tutti gli effetti negativi che abbiamo già conosciuto negli ultimi anni.
Emergenza Salariale
La tabella evidenzia come i salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani negli ultimi 30 anni non solo non sono aumentati ma – caso unico in Europa – sono addirittura diminuiti.
Una tendenza aggravatasi in questi ultimi mesi del 2022, quando l’inflazione ha raggiunto il 7%.
Urgono rinnovi contrattuali che recuperino il potere d’acquisto perduto.
E urge una “nuova scala mobile” che adegui in modo automatico i salari all’aumento del costo della vita.
Politiche Occupazionali: uno stillicidio di posti persi
Tramite gli Open Data offerti a tutti dal Comune di Milano abbiamo effettuato un’analisi dell’andamento dei numeri del personale dipendente dal 2017 al 2021.
Emerge chiaramente che in questi anni si sono persi 661 posti di lavoro di cui ben 543 in fascia B.
L’unica fascia che ha avuto un incremento numerico è la C che aumenta di 169 unità.
Aumenta il personale precario, a tempo determinato, con 154 assunzioni in più rispetto al 2017, non sufficiente a ricucire il buco in fascia B.
Fra tempi indeterminati e determinati la fascia B perde 581 posti, questo ci induce a pensare che gli Open Data a tutti accessibili dovrebbero essere da tutti utilizzati e che fuori dalla propaganda la realtà è fatta di tagli e di servizi in difficoltà.
Ticket mensa e qualità del servizio
Sempre più difficile consumare il pasto, cui pure avrebbero diritto, per i dipendenti comunali. Infatti c’è una costante riduzione del numero dei locali convenzionati ed un peggioramento della qualità del pasto.
I ristoratori, questa categoria che brilla per le lamentazioni sul fatto che non si trova personale disponibile ad essere sfruttato senza fiatare, pare che ritengano di non riuscire a “stare dentro” i margini di guadagno stabiliti con la cifra convenzionata: 5 euro per ciascun pasto coperti dall’amministrazione a cui aggiungere la quota di 2,15 euro per ciascun dipendente. E quindi reagiscono in modo “creativo” limitando le possibilità di accesso ad un menù completo e chiedendo “integrazioni” in modo arbitrario e discrezionale.
Ora, sicuramente i ristoratori pensano prima di tutto a come riempirsi le tasche. È altrettanto vero che una “convenzione” così ridotta – poco più di 7 euro a pasto, nel centro di Milano – non può garantire un pranzo decente, cui lavoratori e lavoratrici avrebbero assolutamente diritto.
Peraltro nella fase di trasferimento di numerosi dipendenti nei due nuovi palazzi comunali di via Sile e via Durando, come delegati sindacali avevamo chiesto di realizzare una mensa interna e di riorganizzare complessivamente il sistema.
Crediamo comunque che sarebbe giusto e necessario adeguare la cifra della convenzione messa a disposizione, investendo più risorse finanziarie per coprirla. Le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero inoltre poter scegliere tra la possibilità di pranzare nei locali convenzionati o, in alternativa, ricevere un Ticket come in uso presso altre amministrazioni e moltissime aziende private.
Il cibo di qualità è un diritto che non va sacrificato né alla spinta a massimizzare il proprio guadagno per i ristoratori né al “braccino corto” dell’amministrazione che su questo intende risparmiare risorse.
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