Quel che resta del contratto

Pubblico Impiego. Contratto. Mobilitazione generale il 19 gennaio.
Il 26 nuova Mobilitazione nelle Funzioni Centrali

La firma dell’ipotesi di contratto nazionale delle funzioni centrali (23 dicembre 2017) rappresenta un’ulteriore battuta d’arresto per tutto il pubblico impiego, perché questo accordo, contrariamente a quanto scrivono i sindacati della complicità, impone aumenti compatibili con i soldi stanziati dal Governo e in linea con i dettami della finanza europea. Aumenti erosi completamente dall’aumento del costo della vita, senza un centesimo di arretrato per il periodo che va dal 2010 al 2015, con risorse ridotte per il 2016 e 2017, con i soldi della produttività di tutte/i distribuiti in modo sempre più diseguale, in linea con le fasce previste sin dal 2009 dal cd. decreto Brunetta, per niente superato.

La contrattazione viene limitata alla sola suddivisione delle risorse, con criteri in gran parte decisi dalla dirigenza e del tutto esclusa su aspetti fondamentali quali orari, organizzazione del lavoro, mobilità, etc.. Le  rsu ridotte ormai a rappresentare simulacri di negoziati inesistenti.

Si fa sempre più strada l’orario multiperiodale per risparmiare su forza lavoro e straordinari; si riducono gli spazi di agibilità sindacale (cessa definitivamente di esistere la già discutibile concertazione), si scaricano sul singolo lavoratore gli oneri della solidarietà (vedi le ferie solidali) che dovrebbero rientrare invece tra i diritti individuali inalienabili affinché chi si ammala non perda il posto di lavoro.

Sulla scia del contratto dei metalmeccanici, si rafforzano previdenza complementare, sanità integrativa e welfare aziendale con le risorse decentrate che saranno appannaggio di quelle stesse organizzazioni firmatarie o delle loro emanazioni: questo è il vero oggetto della cessione dei diritti e degli aumenti contrattuali.

A questo punto la trasformazione delle organizzazioni sindacali è completa. Non più rappresentanti degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, ma complici di un sistema che usa i contratti per comprimere potere di acquisto e potere negoziale riducendo diritti, tutele e salario.

Il contratto delle funzioni centrali è figlio degli accordi del 2016 sui 4 comparti che determinava aumenti contrattuali solo in linea con i dettami della finanza pubblica e nei limiti delle risorse finanziarie che il Governo aveva messo a disposizione senza guardare a quanto avevamo effettivamente perso negli anni di blocco della contrattazione. La riduzione dei diritti – sia di quelli individuali, che collettivi, come nel caso delle RSU – vuole definitivamente togliere la parola a chi combatte questo sistema, come già accaduto con l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.

Con la firma dell’intesa sui 4 comparti e l’accettazione implicita dei decreti Madia, la firma definitiva del primo contratto nazionale del Pubblico Impiego diventa un pro-forma a cui non potrà sottrarsi chi intenderà continuare a godere di un minimo di agibilità sindacali: cessa di essere un contratto per trasformarsi in un’altra cosa.

Questo sarà il modello da seguire per tutti gli altri comparti di contrattazione.

I lavoratori e le lavoratrici sappiano però che ormai non basta più denunciare i reali contenuti di questi contratti al ribasso. Servono altre parole d’ordine come la quattordicesima in busta paga, l’estensione dei diritti individuali, il diritto di assemblea e di contrattazione per ogni singolo delegato RSU. Serve che non siano barattati i nostri aumenti con i “bonus” (leggasi elemosina) o in cambio della previdenza complementare, della sanità e del welfare integrativi.

Serve che i Pubblici Impiegati non vengano discriminati rispetto al settore privato ricevendo TFR (o TFS) con due anni di ritardo, che non vengano penalizzati gli assunti post 2001 con una vessazione occulta del 2,5% sul TFR, o con l’inaccessibilità al TFR o al TFS già accumulato.

Serve a tutti che i vantaggi del bonus fiscale voluto da Renzi producano effetti di reale incremento stipendiale fisso e ricorrente, o di detrazione fiscale stabile. Serve rifiutare l’indottrinamento e la pratica della valutazione e della performance utilizzata come grimaldello per dividere i lavoratori e le lavoratrici e non – come falsamente affermato – per valorizzarne il merito.In questo senso la Pubblica Amministrazione deve tendere a garantire standard di servizio in ogni luogo di lavoro e, conseguentemente, parità di salario.

Per questo Cub, Sgb, Slai Cobas, Si Cobas, Usi AIT e Pubblico Impiego in Movimento lanciano due prime giornate di mobilitazione.

Il 19 gennaio 2018  Mobilitazione nazionale e generale di tutti i comparti pubblici con volantinaggi e presidi informativi.

Il 26 Gennaio 2018  nuova Mobilitazione per i lavoratori delle Funzioni Centrali, primi ad aver visto firmata l’ipotesi di contratto. Lavorando per lo Sciopero Generale di tutti i Lavoratori del Pubblico Impiego.

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